L’influencer marketing sotto la lente: nuove regole e sfide di trasparenza nel settore
Il caso del Pandoro Gate, così come lo ha intitolato Selvaggia Lucarelli nel suo romanzo d’inchiesta sul caso Ferragni-Balocco, ha destato tanto clamore e ha fatto tremare le solide basi del mondo dell’influencer marketing. Si è trattato di un caso esemplare in grado di generare un’ondata di proteste e interrogativi tale da coinvolgere l’intera categoria.
L’attenzione che questo evento ha proiettato sul macro-mondo degli influencer è stata tanto imprevista quanto determinante nell’avvio di un riallineamento degli assetti che, fino a quel momento, avevano guidato le sorti (soprattutto economiche) di quel settore. All’inizio di quest’anno (gennaio 2024), l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) ha stabilito regole più stringenti per l’attività degli influencer, approvando all’unanimità nuove linee guida utili a garantire il rispetto delle disposizioni del testo unico sui servizi di media audiovisivi da parte dei personaggi popolari sulla rete. È stata legalmente espressa quella che era una nascente e generale preoccupazione nei confronti di chi ottiene rilevanza e visibilità grazie al proprio lavoro sui social network creando, producendo e diffondendo a un ampio pubblico contenuti audiovisivi sui quali ha una vera e propria responsabilità editoriale. Più tecnicamente l’Agcom si stava rivolgendo agli influencer con almeno un milione di follower sulle varie piattaforme e che su almeno una di queste ultime avessero superato un valore di engagement rate medio pari al 2%. Dal punto di vista del contenuto, il focus era stato posto sulle comunicazioni commerciali per fare in modo che gli influencer, quando avessero condiviso video nei quali sponsorizzavano uno o più prodotti, riportassero sempre una scritta per evidenziare la natura pubblicitaria del contenuto.
A fronte di questo intervento, l’Agcom ha prospettato la futura messa in campo di ulteriori sistemi di trasparenza e riconoscibilità degli influencer e delle loro agenzie. Sistemi che vedranno presto la luce, dato che il mese scorso (giugno 202) sono stati ultimati i lavori preliminari finalizzati a scrivere un nuovo codice di condotta per content creator, streamer e vlogger. Più di 60 enti, tra agenzie di comunicazione, studi legali, associazioni di categoria, social network e manager del settore, hanno partecipato all’iniziativa. Questi soggetti contribuiranno a ridefinire la regolamentazione di un settore in continua espansione e sempre più complesso, garantendo la tutela degli utenti finali delle piattaforme social, ovvero tutti noi.
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E qui sorge la domanda chiave di questa nostra riflessione: l’utente, il consumatore finale di tutti questi contenuti online, ha davvero bisogno di tutte queste tutele? Quasi come se non fossimo in grado di discernere da soli la natura pubblicitaria (o non pubblicitaria) dietro i contenuti. Ma che lo si vogli ammettere o meno, le differenze che distinguono un consiglio disinteressato da un adv retribuito sono sottili da cogliere anche per lo sguardo più critico e attento. Le cose, insomma, sono molto più complicate di come potrebbero apparire in prima battuta.
Una ricerca condotta da Bva Doxa e Flu, parte di Uniting Group, ha esplorato il rapporto di fiducia tra gli italiani e gli influencer. Secondo lo studio, il 77% degli utenti online ritiene di poter identificare i contenuti sponsorizzati anche senza l’hashtag #adv. Anche se questa fiducia sembrerebbe più legata al proprio senso critico che alla buona fede degli influencer: alla domanda “ti fidi degli influencer che segui?” solo il 21% ha risposto affermativamente, mentre il 67% si affida alle proprie capacità di discernimento per decidere di chi fidarsi.
Nonostante tutto, la fiducia nei confronti degli influencer si conferma alta e si attesta all’88% tra la somma di chi segue solo influencer di cui si fida e di chi sostiene di avere un senso critico allenato a comprendere i messaggi di cui fidarsi. In generale, l’86% del campione afferma che il consiglio di un influencer è un’occasione per conoscere un nuovo prodotto e il punto di partenza per un futuro acquisto. La ricerca riporta numerosi e vari dati in riferimento alla categoria influencer, tutti di carattere positivo, riguardo l’interesse verso le sponsorizzazioni o il numero di influencer seguiti da ciascun utente. Ciò che emerge con maggiore chiarezza da questi dati è molto probabilmente una auto-sopravvalutazione dell’utente medio che bazzica le piattaforme. Ed è in questo margine di errore che vorrebbe intervenire l’Agcom per regolare il settore.
Anche questa ricerca nasconde però le sue criticità: BVA Doxa e Flu hanno esaminato il tema coinvolgendo mille utenti di Instagram che seguono almeno un influencer o un personaggio famoso, traendo conclusioni roboanti come “quasi il 90% degli italiani si fida degli influencer”. Ma nella realtà un campione rappresentativo per l’Italia non può essere limitato a mille casi di utenti online che seguono influencer esclusivamente su Instagram, con un mix di età scelto da Doxa. Per ottenere una fotografia più realistica e coinvolgere efficacemente i più giovani, sarebbe necessario sia ampliare il campione statistico sia includere anche TikTok e Facebook.
Mille casi di utenti Instagram non possono rappresentare adeguatamente la popolazione italiana.
In conclusione, potremmo dire che, anche a fronte di un’ottima capacità di intercettare l’ambiguità dei contenuti in rete, una regolamentazione più puntuale, che comprenda a pieno le evoluzioni più recenti dell’universo digitale è fondamentale. Come le piattaforme mutano e si evolvono, anche il loro apparato legislativo deve migliorare di conseguenza per tutelare al meglio gli utenti e accompagnarli in modo sicuro nella navigazione.
E voi che rapporto avete con gli influencer? Il mondo dell’influencer marketing ci coinvolge personalmente, per questo Golden Eggs ci tiene a tenervi aggiornati sui possibili risvolti futuri e a monitorare i trend.